UNA MAMMA SULLA LUNA

mercoledì 15 giugno 2011

Dal senso dell'orientamento nell'adulto alla percezione del pericolo nel bambino.

Non riconosco le persone. Lavoro in un negozio e per il tipo di servizio che offro mi capita spesso di rivedere una stessa cliente 2-3 volte a settimana per un paio di settimane di fila. Ogni volta che entra rimango smarrita, ho bisogno di qualche secondo, so di conoscerla, cerco di collegarla al lavoro che sto facendo per lei, poi mi parla, mi saluta e questo mi aiuta molto, il tono di voce. Fa un gesto, un'espressione e questo mi aiuta ancora di più. Ma il volto? Poco. Il colore dei capelli si. Ma il volto? Davvero poco. Com'è possibile mi chiedo? sarà la stanchezza, lo stress? Ma poi lo collego ad altre mie caratteristiche abbastanza tipiche, lo scarsissimo senso dell'orientamento, poca memoria visiva, difficoltà ad organizzarmi e ad essere ordinata, distrazione. Mi sono chiesta quale specifica funzione sia coinvolta in tutte queste abilità. Io credo che sia il rappresentare il mondo in mappe, una delle più basilari funzionalità del cervello. La rappresentazione della realtà in griglie di senso, in mappe visive, in mappe storiche degli eventi è alla base del pensiero stesso, della memoria, del nostro muoverci nello spazio, di praticamente qualsiasi funzione motoria e mentale. Nelle persone come me credo ci sia un deficit a livello delle rappresentazioni su base "visiva". Per creare una mappa, per dare un significato, per memorizzare un elemento visivo, da un livello fatto di dettali e particolari si deve passare a un livello "globale", l' insieme di piccole cose si deve trasformare in un "tutto". Ed è questo il passaggio in cui non sono brava. Io mi fermo ai dettagli, ai particolari, sono distratta dagli elementi "minori". Nella strada di raccolta degli elementi con l'obiettivo di dare un significato d'insieme io mi fermo per strada, da qualche parte.Mi perdo. Cerco di andare ancora avanti con questo ragionamento e allora cerco i fili di questa cosa nel passato. Com'ero da piccola? Distratta, fantasiosa, disordinata. Molto fantasiosa. Ovviamente questo si spiega in parte con il temperamento innato, la predisposizione. Non userò la parola carattere, concetto desueto, rottamabile. In parte. E poi? Cosa porta un bambino a distrarsi? A perdersi? Ricordo d'essermi trovata o messa in serio pericolo da bambina, diverse volte. Una volta sono salita senza pensarci sulla macchina di uno sconosciuto che mi aveva invitato a salire, mi aveva offerto un passaggio, avevo... tipo 7-8 anni. Ma solo per dirne una, eh? Mi è sempre andata bene ma solo perchè sono stata fortunata. Perchè un bambino si mette in una situazione di pericolo e un'altro ha l'istinto o la dote intellettiva per starci lontano? In questo viaggio dei perchè io ho trovato la mia risposta. Una risposta che va bene per me ma che si può credo in parte anche generalizzare. Perchè sono stata una bambina trascurata e piena di paure, perchè quando ricevi poco affetto e attenzioni non impari a proteggerti e a prenderti cura di te.

lunedì 13 giugno 2011

Il gioco simbolico

Il gioco è un'attività naturale, senza alcun fine se non il piacere che dà. Il mondo del gioco costituisce una zona di confine tra il mondo reale e quello interno, soggettivo, del bambino. Il gioco è la modalità naturale con cui il bambino sperimenta, si mette alla prova, impara, conosce il mondo esterno ma anche se stesso. Il gioco simbolico è quel gioco in cui un bastone diventa un cavallo, il lettino una barca in mezzo al mare, la sorellina cappuccetto rosso. Questo gioco presuppone la capacità del bambino di rappresentare mentalmente le cose. Vale a dire che sa che le cose esistono anche nel momento in cui lui non le vede. Sa che il suo orsetto l'aspetta nel lettino anche quando lui non c'è. L'orsetto non è solo la cosa morbida da abbracciare nell'istante in cui questo succede ma è anche qualcosa che ha trovato un suo posto nella sua testa, nel suo immaginario, nella sua memoria. Il passaggio successivo alla rappresentazione è appunto il simbolo. Il simbolo prende il posto di qualcosa, ne evoca il significato in sua assenza. In assenza di una barca reale il lettino ne prende il posto, ne diventa simbolo, il lettino significa la barca, la barca che pure non c'è. Questo tipo di gioco inizia intorno ai 2-3 anni e progredisce dall'uso di un oggetto "al posto di" qualcos'altro ad un più articolato gioco di finzione, "facciamo finta che tu eri... e io ero..." ad esempio.
Paolo ha iniziato da un bel po' a far finta di mangiare la pappa, canta la ninna nanna al suo peluche preferito (un ippopotamino rosso), ecc...
Proprio questa mattina Paolo mi ha detto "mamma tu eri Vale e io ero Giordy" (Giordy è il suo cuginetto di 5 anni e Vale è un adulta più anziana di me che lavora con mia sorella). Io ho detto si e ho cominciato a chiamarlo "Giordy" e lui mi chiamava "Vale". Questo pomeriggio è passato a "La sorellina è Peppa Pig e tu tu sei mamma Pig!" (mmmmh...) (Peppa Pig è un cartone in onda su yoyo).
Paolo ha 2 anni e 4 mesi e oggi è stata la prima volta in cui ha sperimentato il gioco simbolico dei "personaggi".

domenica 12 giugno 2011

Il tempo nell'era della tecnica

Ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si trasformi in un completo dominio della tecnica.
Di gran lunga più inquietante è che l'uomo non è affatto preparato a questo radicale mutamento del mondo.
Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere,
attraverso un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emergendo nella nostra epoca.
(M. Heidegger, L'abbandono (1959), p. 36)

Siamo tutti persuasi di abitare l'età della tecnica, di cui godiamo i benefici in termini di beni e di spazi di libertà.
Siamo più liberi degli uomini primitivi perchè abbiamo più campi di gioco in cui inserirci.
Ogni rimpianto, ogni disaffezione al nostro tempo ha del patetico. Ma nell'assuefazione con cui
utilizziamo strumenti e servizi che accorciano lo spazio, velocizzano il tempo, leniscono il dolore,
vanificano le norme su cui sono state scalpellate tutte le morali, rischiamo di non chiederci
se il nostro modo di essere uomini non è troppo antico per abitare l'età della tecnica.
(U. Galimberti, Psiche e Techne, 1999)

Questo post nasce da un incontro, nato, come quasi tutto di questi tempi, da un'acquisto. Andrea, sua moglie e la loro bimba si trasferiscono in Canada: una casa da svuotare, un annuncio su ebay-annunci ed eccomi a casa loro a incontrare la loro bellissima bambina, a portar via un tappeto, dei mobiletti e... libri! Già pronti in una scatola per esser donati alla vicina biblioteca non sono certo rimasti nello scatolone dopo al mio passaggio! Così eccomi con un libro tra le mani, un'edizione economica, le pagine un po' ingiallite: "Psiche e techne" di Umberto Galimberti. Libro che si è inserito perfettamente tra le pieghe dell'umore e dei pensieri che abitano la mia testa da quando ho saputo, pochi giorni fa, che due tra i professori che ho amato di più sono morti di recente: l'ex partigiano Guido Petter, Professore di Psicologia dello sviluppo a Padova e il Filosofo e Professore di Filosofia a Padova Lorenzo Accame.
Non so, credo d'esser giunta a quell'età in cui si comincia a guardarsi indietro un po' più spesso. Quell'età in cui ci sente a metà tra il mondo nuovo e pulsante dei propri bambini che stanno crescendo e il mondo in piena decadenza dei nostri genitori, ormai invecchiati. E noi lì, nel mezzo. A raggranellare ricordi su com'era il mondo quando eravamo bambini e a chiedersi come sarà il mondo tra qualche anno, quando i nostri figli saranno adulti.
Ripensate mai a com'era la vostra vita, la vostra quotidianità, chessò... 10-15-20 anni fa?
Vi capita mai di ritrovarvi semi-ipnotizzati a guardare, tra uno "zap" e l'altro del telecomando, un vecchio film o un documentario sul dopoguerra? Non sentite un senso di smarrimento?
Il mondo dei vostri nonni, che forse non ci sono già più, ve lo ricordate? Vi ricordate i loro racconti? Il senso e la percezione del tempo e della vita, degli spazi era completamente diverso. Cosa rimane del poco di storia che abbiamo attraversato? Il tempo delle ideologie è finito. Quante cose sono finite, passate? Cose che sembravano così importanti per altri uomini, in altri tempi.
Mi ritrovo a ricordare con nostalgia persino i varietà negli anni 80 o le canzoni di Vasco Rossi e il disincanto degli anni 90. Sembra tutto così lontano.
Strano ritrovarsi adulta nel pieno compimento dell'era della tecnica. L'individuo e l'intera società fagocitati dal Mercato, dall'Economia, dal liberismo, dalla tecnologia e via dicendo.
Io mi sento smarrita perchè tutto è cambiato troppo in fretta, quest'accelerazione progressiva del tempo della tecnica rende tutto imprevedibile. Quello che hanno provato a insegnarmi i miei genitori è oggi materia priva di senso. E io cosa posso insegnare alla mia bambina? Quale mondo posso preparare per i miei piccoli che vivranno un mondo che mi totalmente sconosciuto?

mercoledì 2 febbraio 2011

Quale scuola primaria (elementare)??

Ormai mancano pochi giorni e io sono ancora in alto mare. Sono mesi che cerco di raccogliere informazioni tra le mamme dei bimbi della scuola materna di Rebecca ma no ne vengo a capo. Come si fa a scegliere? Qual'è il criterio delle altre mamme che conosco? Quali sono le cose che hanno valutato? Alcune scuole sembrano avere un'impronta storica... "di destra" ad esempio oppure mi dicono "lì son severi e seri, li fanno studiare!", o invece: "è una scuola famosa per essere più "materna e accogliente".
Aldilà dell'idea che ci si fa di una scuola, mossi dall'istinto, dal sentito dire, dal pregiudizio altrui...
c'è poi la scuola come struttura, luogo fisico. Alcune cadono a pezzi e hanno i "muri", tra una classe e l'altra, fatti con dei pannelli, tipo gli stand delle fiere; altre scuole invece hanno muri veri o sono state appena ristrutturate, alcune sembrano claustrofobiche e dai colori bigi, altre spaziose e luminose.
Poi c'è la scuola come programmi educativi e didattici, come persone che ci lavorano.
La scelta è importante e io mi muovo tra questi dubbi: le scuole a portata di piedi sono 3-4, una la escludo (quella "di destra"), è lontanuccia e ci è andato mio nipote che ricorda anni terribili, una scuola severa, bimbi competitivi e "punizioni" fuori dalla porta dell'aula. Una, quella bigia, che cade a pezzi è stata anche la mia scuola e non son bei ricordi nemmeno qui ma i ricordi non c'entrano. Ci sarebbero di buono i 5 minuti di strada che ci vogliono per raggiungerla e il fatto che Rebecca si ritroverebbe in classe con 5-6 bimbi che già conosce alla materna, forse di più (è proprio accanto alla materna e quasi tutti i bimbi andranno in questa scuola e c'è un'associazione di genitori molto attiva e impegnata. Rispetto alla prima opzione poi, una scuola più eterogenea dal punto di vista sociale ed etnico, cosa a cui tengo molto.
La terza opzione è la scuola "materna-accogliente", l'unica di cui son riuscita a non perdermi l'open day. Sono andata con lei a vedere questa scuola e le è piaciuta tanto. Grande, luminosa, bella. Mi è piaciuta tanto, ho conosciuto le maestre, visto ogni spazio. Qui però Rebi non conosce nessuno e questo la spaventa ed è un altro mio cruccio.
L'ultima opzione, una scuola dove son "severi ma non troppo", meno eterogenea, ma bella struttura, un po' più lontana, altro non so.
Dipende anche dal carattere di tuo figlio, mi son sentita spesso dire, per alcuni è meglio una scuola più rigorosa per altri no, ecc...
Il fatto è che si tratta di una situazione comunque altamente imprevedibile:
come sarà il gruppo classe?
quale sarà la maestra e quale sarà la relazione che si instaurerà tra bimbo e maestra?
Inoltre la situazione base sembra disastrosa in generale, pochissimi fondi e tutto quel che è già si sa della scuola in questi anni.
Come spesso, forse quasi sempre ci si ritrova a dire in Italia a proposito delle più disparate situazioni è " va a fortuna!".
Da qui l'ansia generalizzata tra le mamme e i papà...
Ho ancora 10 giorni per capire cosa fare...